Lettera aperta al Professor Alberto Casadei, circa un suo articolo di agosto sul Corriere online.


Ciao, Alberto
come stai?
Ho letto il tuo articolo: «La poesia è viva, ma ora bisogna ricostruire un pubblico competente» e comincio con una domanda: quando, secondo te, un poeta ha successo? (stemperando un po' il trionfalismo della parola con il «monito» di Pasolini che il successo sia sempre una cosa brutta per un uomo). Per me, ricordando un appunto di Citati, il poeta ha successo quando un ventenne, trovandosi a leggere il libro di un poeta che fotografi la sua vita meglio di altre sue occupazioni, dica a un altro ventenne: leggilo! è fortissimo! E così, a catena, il passa parola. Perché ciò avvenga, è ovvio prima di tutto incontrare, scovare l'oggetto libro (cartaceo o digitale che sia). Quindi mi interrogherei su certi meccanismi della distribuzione, della promozione, degli spazi in tv o sui giornali. (La distribuzione è un problema anche nel cinema, in Italia, per i film «piccoli» e di qualità).
Qui mi fermo, per ritornare al tuo articolo  che piazza giustamente l'occhio di bue (in senso teatrale) sull'importanza dell'educazione scolastica.
Ricostruire una massa di pubblico competente, più o meno dici: me lo auguro, caro Alberto, ma mi pare un'idea forse un po' da maratona in tempi lunghi. Dalla mia specola, integrerei dialetticamente i tuoi «massa» e «occorre» con i miei «persona» e «libertà» (termini che pure tu usi)...
Non è la struttura che funziona (un bene, certo) a creare le vocazioni o la passione alla lettura. E tutti i tentativi di sistemazione attraverso l'organizzazione e il buon funzionamento, non raggiungono spesso gli scopi sognati. 
Montale non era neppure laureato (e nemmeno d'Annunzio): ma Eusebio è diventato il poeta italiano moderno con più monografie in giro, anche nel mondo, come sai meglio di me: che tipo di scuola aveva frequentato? E il Pasolini che ricordava giusto Longhi, tra i suoi professori universitari? 
Rammenterai anche il Fortini che metteva in guardia dagli eccessi dello specialismo e dagli specialisti (non tutti, ovviamente).
E questo, Alberto, non riguarda solo la poesia: pensa al problema del MALE, legato, come ben sapevano Machiavelli ed Eliot, alla inestirpabile peccaminosità dell'uomo, alla sua natura bassa.  "Eliot ammira Machiavelli, perché Machiavelli vede nella bassezza della natura umana un fatto inalterabile; e cerca lumi dai teologi che offrono la salvezza, non attraverso la riorganizzazione economica, la riforma politica, la cultura e gli studi biologici e psicologici, ma soltanto attraverso la «grazia»", cito da Edmund Wilson, Il castello di Axel, Milano, 1996, pag.94.
La morte terribile di Pasolini, i casi di oggi, con l'immancabile psicologo o criminologo che litigano in tv: io spengo e rileggo Dostoevskij...   
Il caso estero, cui alludevi, non dipende, a mio avviso, solo da un migliore funzionamento della scuola (o da migliori leggi sull'editoria e distribuzione, aggiungo) ma forse da vere e proprie abitudini consolidate di popoli: tu chiamala mentalità, cultura, chiamala tradizione; gli ispanici, i russi, gli anglo sassoni... E qui ci sono i secoli, di mezzo, in ciò che noi chiamiamo Storia
Eppure - in un bel film di Al Pacino, Riccardo III - Un uomo, un re - diario reportage sul lavoro filologico, psicologico e attoriale che precedeva un adattamento dell'opera, nelle interviste che l'attore raccoglieva fermando la gente per strada, domandando di cose su Shakespeare, in tanti restavano come ebeti. Dunque, nonostante io ricordi uno sfogo televisivo di Mario Luzi amareggiato che l'Italia fosse il buco nero per la poesia, non sono sicuro che l'omologazione consumistica e il potere della tv abbiano prodotto danni pure in altri paesi d'occidente: la cultura tradizionale umanistica oggi deve fare i conti con le nuove forme di comunicazione, dalla rete, alla tv. Personalmente, ho sempre visto nella radio una grande amica della poesia, sempre che i "capi" lo permettano e lo vogliano.
Certo, migliorare il migliorabile, partendo dalla scuola, è pur sempre azione giusta.  
Ma l'attrazione e l'interesse per la poesia non credo nascano (o meglio, non solo) da un'educazione al gusto (sempre un po' «fascista») e da un uso più scafato delle ultime tecniche di analisi (pur utili); scaturiscono dal DESIDERIO (dunque dai misteriosi giri della libertà), proprio come l'amore; dal desiderio e dagli incontri attraenti, che provocano, muovono a.
(Perfino lo psicopatico, soprannominato Buffalo Bill, secondo il professore cannibale Hannibal Lecter, de Il silenzio degli innocenti, squarta le sue vittime perché: DESIDERA). 
Se permetti un' euristica personale (giusto per evitare l'astrazione e dare un valore all'esperienza, mia, tua e di tanti) io ho cominciato a scrivere poesie (e a leggere Dante e altri cento, a studiare la metrica, a leggere anche i critici) perché ho incontrato il nostro comune amico e poeta Rondoni, che considero il mio primo maestro: non perché la professoressa Rossi, del «nostro» Liceo Classico Morgagni di Forlì, mi abbia stimolato alla lettura dei «nuovissimi»; e se lo avesse fatto, forse avrebbe ottenuto l'effetto contrario... (Per fortuna la mitica Rossi si limitava a interrogarmi tutte le volte che spuntava il nome di Ugo Foscolo: misteriose e strane le associazioni della mente umana!).
E ho continuato perché il grande Ezio Raimondi mi premiò, bontà sua, in un concorsino riservato agli universitari bolognesi, me per la poesia, Guido Conti, oggi bravo scrittore, per la prosa (concorsino vinto pure, dieci anni dopo, da una nostra comune amica poetessa romagnola). E ho frequentato Mario Luzi, Bandini e molti altri, per passione, desiderio. Ho pubblicato un libro, vincitore o segnalato in ottimi premi, come capita. E poi mi sono tuffato nel mondo dello spettacolo, per lavoro, trascurando un po' non le poesie, che ho sempre letto, pur non essendo obbligato, ma la mia poesia, visto che non esco con un libro da 15 anni: diventando (non per le intenzioni ma per gli esiti) quasi come il poeta del film Vicky Cristina Barcelona di Allen, il quale non pubblicava le sue cose per punire sadicamente i suoi ammiratori...
 Un po' mi dispiace, non per un qualche mio orizzonte di gloria, ma per essermi perso il confronto e il dialogo con alcuni poeti e poetesse - alcuni molto interessanti - nati negli anni ottanta o novanta. Un confronto utile per me, in primis... Ma si torna, pure, come Ulisse...
In tutto questo moto verso la poesia, scritta (poco) e letta (molto)  c'erano sempre in gioco la mia libertà e il mio desiderio: nessun obbligo o dovere di scuola, pur studiando. Penso che anche per tanti altri che scrivono sia stato così. Gli incontri dunque, anche con accademici stimolanti, le persone... Io ho incontrato Rondoni (ma anche Bandini, Luzi, come dicevo) altri, nel passato, hanno avuto insegnanti come Caproni, Bertolucci, Pasolini e la scuola era ancora quella della riforma Gentile. Voglio dire: forse contano gli incontri più che i programmi e le prassi che sanno sempre di burocrazia e ministero? E in questo mio pensiero c'è forse un'idea, tra Olmi, Pasolini e Fellini, primitiva della scuola, piena di misteri, di fantasmi, di visioni. Un'idea mitica, quasi. E un po' di uggia per la cultura di massa o per l'«ammaestramento» della stessa.
In letteratura e in poesia noi cerchiamo quel che si cerca leggendo la Bibbia. E questo anche quando essa sia una suprema forma di piacere. «Né si può affermare che sia la leggibilità a essere l’unico discrimine per una buona diffusione di una raccolta poetica», tu dici, citando poi la Primavera hitleriana di Montale: che è un testo denso, alto, potente, ma non illeggibile come certo Emilio Villa (indigesto sia a Montale che ai Novissimi); se ci pensi, i classici sono sempre leggibili, come ha pure detto Umberto Piersanti, anche Dante; nel cui caso si deve solo fare la fatica premiata di entrare in una mentalità molto diversa dalla nostra (già il Petrarca è più simile a noi), riandare ai significati diversi delle parole, i vari livelli del testo, la teologia etc. Cose che sai meglio di me. Però Dante poteva essere esplorato da un Contini o anche citato a memoria da qualche contadino: la vera grandezza non ha bisogno del libretto di istruzioni per l'uso (che si può comunque sfogliare)... Questo è il senso di una bellissima intuizione di Alfonso Berardinelli in una sua frase dispersa nel suo "100 poeti" uscito anni fa negli Oscar Mondadori.
«... ma l’obiettivo vero sarebbe quello di capire come questa ottima poesia possa entrare in circolo, senza bisogno di aiuti esterni o di operazioni calate dall’alto, che non penso servano a molto.», dici nel tuo articolo. Certo: ma chiediamoci, e scusami per il salto logico argomentativo, come entrino in circolo la cocaina o le "canne", la pornografia, l'alcol, i films e la musica?... Non certo attraverso la scuola, forse addirittura in contrapposizione... 
La mia domanda: per la poesia non potrebbe essere così? In effetti - considerando il numero altissimo di scriventi poesia, in Italia, il circolo è vizioso. Se uno scrive poesie, evidentemente risponde a un qualche bisogno: sfogo emotivo, gioco, surrogato psicanalitico o religioso etc. Mi domando, perché tutto ciò non si traduce nell'acquisto diffuso di libri di poesia? Per me, ha anche ragione Berardinelli: un pochino dipende pure dai poeti pubblicati negli ultimi anni.
E molto dipende dal fatto che la poesia forse non si presti all'intrattenimento di certa letteratura di massa. Ha due «limiti», ad esempio: non fa notizia come i tg o i giornali e non racconta una storia lunga e appassionante (almeno la poesia odierna, perché gli antichi usavano i versi anche per raccontare l'apicoltura, pensa alle Georgiche, o per narrare storie come nei poemi cavallereschi).
Nel mio piccolo, con il mio libro d'esordio, ho «battuto» in un premio serio il libro Premioviareggino di Patrizia Cavalli: ma, qualche volta, penso che lei sia una delle più grandi poetesse italiane di oggi (in ambito romano, trovo notevole pure Daniela Attanasio). Non so quanto venda la Cavalli ma mi pare che piaccia molto al pubblico, dunque il potenziale di diffusione ancor più ampia, in questa poetessa c'è.
Attenzione anche a svalutare troppo le emozioni: Neruda o Merini, pur discontinui, piacciono al "genio popolare". Tale svalutazione è un retaggio del simbolismo messo a punto dall'Eliot critico: e se Eliot è stato un grandissimo come poeta, tra i miei preferiti di sempre, è però anche il responsabile, come critico, di aver lanciato una vera e propria fatwa anti romantica e anti emotiva che ha prodotto, in molti continuatori imitatori, testi superintellettualizzati e spesso astrusi. Lo scriveva anche il critico Edmund Wilson, già negli anni trenta...
L'antidoto, tra i tanti possibili, è ritornare alla freschezza dei classici latini o greci o cinesi (vedi Damiani) o anche ritornare alle bellissime ballate di Goethe, o guardare a tante altre esperienze odierne del mondo: in certi poeti come Adonis, ad esempio, senti qualcosa che abbiamo forse perduto, ammorbati da troppa teoria della letteratura o da intenzioni di programma che hanno "prodotto" testi spesso nati morti. Ciascuno sia libero di intraprendere la propria ricerca purché non si arrivi al killeraggio di esperienze non allineate alla vulgata di moda... Poesia "sporca"? Poesia lirica? Poesia e sporca e lirica, come la mia? Poesia prosastica? Poesia depressa? Trovo interessante il titolo della nuova antologia curata da Leardini e Fantuzzi: Post '900, lirici e narrativi; non so come siano i poeti scelti ma mi piace e condivido il titolo specchio delle intenzioni. Mi auguro però che - oltre al lancio dei giovanissimi, secondo una moda che probabilmente trovava e trova riscontri nelle vendite, cominciata con il lancio dei "ragazzi" degli anni settanta - io sono del '68 - si pensi in futuro a "riscoprire" il sapore vintage di alcuni poeti che - solo perché nati negli anni sessanta e non appartenenti a certi gruppi molto attivi nel promuoversi a vicenda - sono stati completamente saltati: a parte me, pantera nera che sogna pure di girare films e di fare il camionista, ce ne sono altri interessanti a cominciare da Andrea Gibellini, che sento poco a giro... Tu quoque, Alberto, magari con il quasi mio coetaneo e bravo Mazzoni e con Roberto Galaverni, potreste in futuro pensarci: il titolo benniano potrebbe essere, per esempio: Musica per vecchi animali...    
E tornando a quel che dicevo prima, il tentativo di mettere in poesia, in modo raffinato, anche un pensiero emotivo e viscerale, io che mi ero formato sui simbolisti e sui grandi della modernità come Eliot, Pound, Rilke, è quello che ho cercato di fare nel mio secondo lavoro poetico, ancora inedito, addossandomi il rischio di essere un inclassificabile, uno «strano», una voce straniera. Io sono una forza del Passato, risponderei... Si parva licet componere magnis...
Uso un paradosso: quello che si dovrebbe mostrare ai giovani o a certi "drogati" dell'economia è che la buona poesia può essere meglio della droga purissima (la cattiva poesia è la droga tagliata male): con nessun danno per la salute... Mettiamo i versi sui pacchetti del fumo, come nei baci perugina, invece che quelle frasi menagrame che fanno più sdrucita e lisa la patta dei pantaloni... 

C'è anche un'altra considerazione da fare: posto che si voglia migliorare il sistema educativo scolastico italiano, con maggiori aperture verso la poesia contemporanea (cosa sulla quale sarei d'accordo, purché non fosse la proposta di un mini canone risultante, in assenza di criteri ampiamente condivisi di valore critico oggettivo e di consenso pubblico, dalle strategie di carriera e dalla fame di fama di alcuni poeti o poeti critici tarantolati; quindi una forma di manipolazione impositiva e calata dall'alto, un po' subdolamente; o una ragione per vendere, usando i poveri e presepiali studenti, le fatiche ginnico mentali di certi accademici, non sempre brillanti), quali modalità si dovrebbero seguire?
Intendo come metodo; estremizzando, in tensione polare: libri bruttissimi e pesantissimi, pieni di schede analitiche? O il modello di lezione universitaria dei Debenedetti, di cui Berardinelli è stato degnissimo continuatore, con tutte le sue idiosincrasie, i suoi vezzi, le sue pose, ma anche con le candele accese della sua intelligenza; oppure il modello di quell'Ungaretti all'Università di Roma, che leggeva Alla luna di Leopardi, poi mormorava qualcosa e aggiungeva: «è meraviglioso... non c'è niente, proprio niente da dire», continuando a leggerlo e rileggerlo sino alla fine della lezione (come ci riferisce il prof. Mario Lavagetto nel suo importante libro Eutanasia della critica)...
Un caro saluto
                            Andrea Margiotta  

Commenti

Post più popolari